venerdì 16 gennaio 2015

Un tranquillo weekend di no-euro - Episode I

La crisi economica continua ad occuparsi delle nostre vite, da anni ormai, e finiamo per convincerci che il QE di Draghi (che non è il QI, immagino piuttosto altino) sia la mossa giusta, o forse le riforme, oppure una generica cessione di sovranità. Sul tema euro resistono però ancora alcuni tabù.
Ho già scritto un post piuttosto complesso sul tema euro, ma lo spunto per il post attuale deriva dalla mia visita, ormai un paio di mesi fa, al convegno "'L'Italia puo' farcela?" organizzato dall'associazione a/simmetrie, presieduta dal Prof. Alberto Bagnai, economista, docente all'Università di Pescara.
Avevo preso appunti, mi ero ripromesso di scriverne, poi la mia tendenza a posticipare ha avuto il sopravvento. Ora provo a pubblicare qualcosa, magari a episodi, cominciando dal principio...



Premetto una cosa - chiunque usi l'argomento "uscita dall'euro" come fosse una pozione magica che risolve ogni problema non rende giustizia alla serietà della questione, ma allo stesso tempo chi attribuisce il tema al bieco nazionalismo populista, al desiderio di alzare barricate, cacciare lo straniero e fare la guerra sta per lo meno sbagliando del tutto, quando invece non è in mala fede e difende interessi contrari a quelli dei quali si proclama tutore.
Sono arrivato a convincermi del fatto che l'uscita dalla moneta unica sia la condizione necessaria (ma non sufficiente) affinché si possano mettere in pratica con efficacia quelle politiche che si reclamano a Sinistra (quella con la S maiuscola). Che poi al momento non ci sia nessun interprete di queste politiche è un altro problema, non da poco, ma si tratta di una questione trasversale. 
Nelle condizioni attuali, invece, un improvviso impeto di buona politica che introducesse misure serie contro evasione, corruzione e criminalità, così come politiche di spesa pubblica, richieste di sforare i vincoli, di ristrutturare il debito - vedrebbe vanificati gli effetti benefici, finendo per continuare a finanziare gli squilibri europei. E consegnerebbe il paese nelle mani della troika.

Il convegno di Pescara è stata un'occasione veramente interessante per sentir parlare personalità di grande spessore, che ora vi racconto un poco, per farvi capire che non di solo Salvini è fatto il mondo no-euro.

Annessione


Il primo relatore è stato Vladimiro Giacchè, economista-filosofo laureato alla Normale di Pisa, che ha raccontato gli aspetti meno noti dell'unificazione tedesca, argomento sul quale ha anche scritto un libro molto interessante, intitolato Anschluss - l'annessione. Vi consiglio di guardare questa intervista del TG2 relativa all'argomento. Ma tento qui di riassumere i punti centrali e rilevanti rispetto al tema euro: l'unificazione tedesca è stata una operazione molto articolata, necessariamente, perché per produrre un unico Stato, la Germania Ovest ha dovuto stravolgere l'economia pianificata di stampo sovietico della Germania Est in una "normale" economia di mercato. Per fare ciò è stata applicata una terapia d'urto, secondo il principio per cui era necessario riazzerare tutto per poter ripartire nel modo "giusto". Quindi l'economia dell'Est, che era invero non in condizioni smaglianti, ma relativamente molto migliori di quella degli altri paesi orbitanti attorno all'URSS, è stata del tutto devastata, svendendo tutte le aziende statali - il PIL è precipitato del 44% tra il 1989 ed il 1991, le città si sono spopolate e coloro che sono rimasti sono diventati manovalanza a basso costo per le aziende dell'Ovest. Di fatto si è trattato quindi di una annessione, più che di una unificazione.


Nelle differenze, esiste una similitudine con l'eurozona e l'operazione attuata dai paesi dell'area del marco (cosiddetti paesi centrali) rispetto ai paesi dell'Europa del Sud (paesi periferici).
Il feticcio della stabilità dei prezzi e della Banca Centrale indipendente dal potere politico obbligano i paesi periferici a competere con quelli centrali, ma non avendo sovranità monetaria, non avendo una valuta svalutabile, non potendo investire soldi in tempo di crisi - i privati per mancanza di denaro o di fiducia, lo Stato perché obbligato a sostenere tagli di bilancio - l'unico modo per guadagnare competitività è quello di fare una svalutazione interna, cioè abbassare i salari, o per dirlo in modo più elegante fare le riforme strutturali, o per dirlo in modo più anglosassone fare il Jobs Act.

Angela Merkel proviene dalla Germania Est, ha vissuto sulla sua pelle il "salvataggio" della Germania Ovest, ma da una posizione privilegiata e convinta che ci fossero delle colpe da espiare. Ora è convinta che l'Europa non possa fare ciò che fece l'Ovest. La Germania ha fatto il suo, è un paese virtuoso e snello, i paesi del Sud invece sono indolenti e obesi - l'aiuto massimo che puo' essere concesso è fornire il medico con la cura, ovviamente l'austerità.
Il risultato si puo' riassumere con la famosa frase:
L'operazione è perfettamente riuscita, ma il paziente è morto.


Modelli



La seconda sessione è stata la prima occasione di confronto con chi la pensa diversamente - il Prof. Francesco Lippi, ed il Prof. Andrea Boltho - che si sono prestati ad una analisi di una prima versione del modello econometrico sviluppato da a/simmetrie: cosa succederebbe in caso di uscita dall'euro?

Agli economisti non viene riconosciuta una grande dote di previsori, anche se sul fallimento della moneta unica si erano espressi autorevolissimi studiosi molti anni prima della crisi e dello stesso euro. I motivi per i quali comunque previsioni su crescita, occupazione ed altri indicatori vengano disattese sono fondamentalmente due: l'inadeguatezza dei modelli, il "ritocco" dei dati. Il FMI ha presentato in questi ultimi anni una tale serie di previsioni errate, da far sospettare (per non dire avere la certezza) che qualcuno abbia richiesto previsioni di un certo tipo. Viceversa è anche vero che le variabili in gioco sono molteplici ed ugualmente che i fattori che incidono sui reali esiti possono sfociare in ambiti diversi dell'economia.
In questo senso il modello proposto è stato presentato con tutte le cautele del caso, premettendo l'eroicità di arrischiarsi in una previsione, il fatto che comunque si tratta di un modello che non tiene conto di un cambiamento nelle politiche del governo e di altri fattori - queste debolezze sono state messe in evidenza da Lippi per affermare che, di fatto, i risultati fossero quindi poco significativi. A me è parso che la critica sulla poca validità scientifica del modello sia però stata sostituita da un altrettanto poco scientifico pregiudizio nei confronti di una rinuncia all'euro, portando come "prove" solo i soliti luoghi comuni.
Dal mio punto di vista questa sessione ha messo in evidenza quanto sia importante la razionalità e la logica economico-politica, rispetto ai risultati di modelli da prendere con molta cautela, quando si tratta di previsione. Ed è molto importante che i numeri relativi ai dati del passato siano presentati in un quadro chiaro, non decontestualizzati e non correlati in modo metodologicamente sbagliato (quando non intenzionalmente sbagliato).
Per dare i numeri è necessario essere un po' folli e non aver paura della verità.



Politici



La sessione politica è stata in parte una sessione gossip - l'incontro con questi VIP della vita pubblica, che passano da un salotto televisivo all'altro, era interessante per tentare di estrapolare un po' di verità da questa presenza in full-live-hd-3d, insomma, in presenza di persone in carne ed ossa.

Gianni Cuperlo, Fausto Bertinotti, Andrea Colletti, Giorgia Meloni, Matteo Salvini - riassumere ciò che hanno detto in pubblico pare superfluo, sono tutte le cose che già si conoscono da ogni altro intervento. Magari è interessante notare come Cuperlo abbia dato credito ad un ragionamento sull'uscita dalla moneta unica, nel suo modo molto sottile ed intellettuale, denunciando l'europeismo ideale che si è staccato dalla realtà di politiche che hanno sempre fatto prevalere il mondo finanziario, il capitale, il liberismo, rispetto all'occupazione e ai temi di rilevanza sociale. In questo modo si è reso complice di queste politiche, difendendo a tutti i costi un'Europa inesistente. Cuperlo è stato anche onesto nell'autocritica del linguaggio dei politici, rispetto alla molto maggiore rilevanza di chi nel mondo accademico non è a caccia di voti.
Forse è interessante il ragionamento di Bertinotti, che ha fatto un discorso a lui caro, la lotta di classe agita dall'alto verso il basso, in atto da molti anni, comune a tutti i paesi europei, per cui l'euro sarebbe solo un alibi - mentre, secondo l'opinione che mi sono formato, l'euro è uno strumento importante per intensificare questa lotta di classe contro i più deboli.
Molte altre frasi erano buone per Ballarò, ma si sa, sono fatti così, come slegano slogan i politici...


Il resto, alla prossima puntata...


domenica 2 novembre 2014

Violenze dell'ordine



Tutti assolti. 
La sentenza sul caso Cucchi provoca molta rabbia. Ma non tanto per l'esito in sé.
Una sentenza si basa sul riscontro di fatti che violano le leggi, possibilmente oltre ogni ragionevole dubbio, e questo processo si è tenuto in condizioni paradossali.
Lasciamo perdere la sentenza e concentriamoci sulla verità, perché tanto sappiamo qual è, checché ne dica la corte o magari Giovanardi, e possiamo avere la presunzione di affermarla.

La verità è che Stefano Cucchi è stato picchiato a morte da rappresentanti delle forze dell'ordine, probabilmente tra urla "drogato di merda!".
La verità è che una parte del paese ed una corposa maggioranza di polizia e carabinieri tutto sommato ritengono certe persone non degne di vivere, magari non tutti al punto di ucciderli di botte, ma almeno al punto di giustificare, tollerare e proteggere chi lo ha fatto.
La verità è che questo maledetto spirito di corpo è assimilabile alla fedeltà ed all'omertà di un clan mafioso, ha la forza esaltante delle squadre fasciste, è la barriera che tiene la civiltà e la decenza umana fuori da questi corpi dello Stato.
La verità è che non ha senso parlare di mele marce. Una parte maggioritaria è complice di queste scelleratezze. I vertici non puniscono e non espellono con disonore chi lo meriterebbe.
No, la verità è che la violenza ed il disprezzo sono un elemento costitutivo di queste forze, che non si sono poi tanto evolute dai tempi nei quali erano al servizio di regimi totalitari.
Allora la verità è che ci saranno sicuramente alcune mele dolci, che hanno poca voce in capitolo e che vengono emarginate, ancor di più se per caso pensano di parlare e denunciare dei colleghi.  
La verità è che quelli che hanno la faccia tosta di mostrare il dito medio verso i familiari di una persona barbaramente uccisa, il SAP che dichiara che "se uno ha disprezzo per le proprie condizioni di salute, ne paga le conseguenze", il COISP che invita a "guardare in famiglia per trovare le ragioni di certe sciagure" - rappresentano perfettamente lo spirito di corpo. Perché bisogna andare di corpo per produrre la sostanza di cui sono fatte queste persone.


Forse qualcuno avrà la decenza, la forza, la volontà e la capacità di capire che queste non sono forze dell'ordine, sono forze di repressione e violenza che nulla hanno a che vedere con una società moderna e civile. Come un politico, in teoria, dovrebbe essere ed apparire ancora più onesto di un cittadino normale, allo stesso modo un poliziotto dovrebbe essere ed apparire ancora meno violento, ancora più capace di freddezza nei momenti di tensione, ancora più tollerante delle diversità  e delle condizioni di persone che per mille motivi si trovano a fare errori, ancora più motivato a tentare in tutti i modi di comprendere e rieducare chi ne abbia bisogno. 
Per questo motivo la forza bruta dovrebbe essere l'ultimo degli attributi richiesti.


Ma non è così, e Stefano Cucchi e morto, assassinato dai protettori della legge, uno dei tanti ultimi che non contano niente per chi crede solo nella legge del più forte.

domenica 19 ottobre 2014

Parole di sinistra a Londra

Con grande curiosità, da osservatore attento, sono andato ad ascoltare l'incontro organizzato da Left Unity, il nuovo partito di sinistra britannico (sinistra non per finta - potete trovare i video ufficiali qui, mentre la mia galleria di foto scadenti qui). Ken Loach è tra i padri nobili di questa iniziativa - i suoi film hanno da sempre per protagonista la parte più emarginata della società, la working class, in un paese nel quale, al di la delle disuguaglianze di per sé notevoli, il classismo è ancora molto vivo. Ma di lotta di classe non si può più parlare, i sindacati sono stati devastati da anni di thatcherismo, poi è arrivato Tony Blair a dare il colpo di grazia definitivo alla sinistra.
Nulla di sorprendente purtroppo, in tutta Europa i partiti social-democratici diluiscono l'ideologia nel grande mare del libero mercato.


Una gran varietà di volti diversi, giovani, anziani ex-figli dei fiori, insospettabili signori distinti, rasta e treccine, sudamericani che paiono arrivare direttamente dai grandi movimenti di massa bolivariani, reperti del passato, ragazzi portatori di tablet e iphone, senza apparenti sensi di colpa (non c'è scampo, appena fuori dal King's College, sull'intera parete del cinema IMAX campeggia un'enorme pubblicità della Apple).

L'auditorium è pienissimo, siamo in Inghilterra, le misure di sicurezza si rispettano, nessuno può stare in piedi. La speaker si scusa per l'inizio in ritardo (solo 10 minuti...). Si parte col manifesto di Left Unity, "We are socialist, feminist, environmentalist and anti-austerity...".

Il primo a parlare è Eduardo Maura, attivista del nuovo movimento spagnolo Podemos. La loro esperienza parte dagli Indignados, che hanno affollato le strade spagnole tre anni fa. La loro sfida attuale è cambiare un paese. È il primo a parlare di Partito Unico, che ha sostituito il classico duopolio laburisti-conservatori. Ormai le politiche dei maggiori partiti si equivalgono e la confidenza nel sistema, considerato completamente corrotto, è crollata. Non sto parlando dell'Italia, sono le parole di Eduardo sulla Spagna, che pure ci suonano molto familiari. Ma la Spagna ha una disoccupazione al 24,5% e milioni di lavoratori sottopagati. La disoccupazione è diventata una vera piaga sociale. Podemos ha riunito gli attivisti che protestavano per le strade e i cittadini che si indignavano a casa loro, perché, tiene a precisare Eduardo, l'attivismo è importante, ma solo il popolo cambia i paesi ("convertir la indignación en cambio político manifesto"). Si dichiarano orgogliosamente populisti (una definizione condivisa dagli altri oratori). 
Dal punto di vista organizzativo Podemos predica e attua i precetti dei moderni movimenti: trasparenza assoluta (le ricevute, per favore), raccolta di fondi sempre per scopi specifici, accountability, utilizzo massiccio dei social-media, apertura a tutti - sicuramente hanno studiato il M5S. Nonostante Podemos sia un movimento di ispirazione dichiaratemente di sinistra, sia Eduardo, che altri attivisti presenti, hanno tenuto a dire che non vogliono più usare la parola "sinistra", perché per loro è un termine usurato e consumato, abusato da chi se ne dichiarava portavoce. Che sia una strategia di marketing? 
Sicuramente le parole con le quali ha denunciato le "forze selvagge non elette da nessuno" che dominano l'Europa, minandone la democrazia, sono importanti e di sinistra. Così come la dichiarata consapevolezza che il popolo non è fatto di attori razionali, che la rabbia è un sentimento comprensibile, ma che va tradotto in istanze sociali e poi in azione politica. Come ha detto egli stesso "It's not what you say, but what you do". Teniamoli d'occhio allora e vediamo cosa fanno.

Dopo Eduardo, è intervenuto Tariq Ali, intellettuale di origine pakistana, a causa dell'opposizione al regime militare della sua famiglia fuggito in Gran Bretagna, paese dove ha studiato e dove ha iniziato il suo attivismo fin dagli anni '60, contro la guerra in Vietnam. Maglione grigio a collo alto e giacca marrone lo collocano politicamente con precisione. Tariq ha analizzato lo stato della sinistra europea e britannica - in particolare il caso della Francia, che secondo lui ha chiuso il ciclo politico iniziato nel 1789, dove la sinistra è debolissima e i giovani ormai votano in gran maggioranza per Marine Le Pen. Ha espresso rammarico per il risultato del referendum scozzese, che contrariamente a come è stato dipinto, è stato un grande esercizio di democrazia e di battaglia per i diritti, come dimostra il risultato di Glasgow ("the greatest working class city"), dove ha vinto il SI. Avrebbe potuto anche citare l'Italia e lo ha fatto più tardi, rispondendo ad alcune domande, indicando lo smarrimento della sinistra e la confusione del M5S, che conduce battaglie in direzioni opposte. Anch'egli ha posto l'accento sul Partito Unico, che ormai dilaga in Europa, una onnipresente coalizione tra conservatori e social-democratici, con il controllo dell'informazione che contribuisce a creare una bolla, un'illusione - mentre i partiti di centro-sinistra attuano politiche terribili, ma col sorriso, tramite campagne di terrore e sotto il ricatto della necessita` che tutti soffrano terribilmente per uscire dalla crisi (ma ovviamente a soffrire sono sempre i soliti). 
Non si possono accettare compromessi con queste forze e questo è l'appello che ha voluto fare a forze come Podemos e Syriza. Il Labour inglese viene dato per perso, Tariq ha citato alcuni nomi di militanti che sarebbero ancora di sinistra, chiedendosi come facciano a restare nel partito, senza contare niente. Anche l'Inghilterra ha i suoi Civati...
Ha concluso con la raggelante domanda: può la democrazia sopravvivere al capitalismo?

Poi è stato il turno di Marina Prentoulis, docente di Scienze Politiche presso la East Anglia University e attivista di Syriza (acronimo che sta per Coalizione della Sinistra Radicale), il partito di Tsipras, attualmente in testa ai sondaggi in Grecia. Una battagliera senz'altro, ha parlato con grande energia e trasporto, urlando il massacro sociale in atto nel suo paese, ripetendo più volte una frase che ha sentito pronunciare dalle persone - "They want us all dead!". Syriza esiste ormai da diversi anni ed è gia` molto radicato nel territorio, soprattutto in questa fase durissima, nella quale ha costruito grandi reti di solidarietà per sostenere le milioni di persone in difficoltà. Non essere elitari è un punto cruciale per le loro lotte, non condurre il popolo, ma saper anche imparare da esso. Si stanno preparando a governare il paese e per questo motivo Marina ha chiesto il supporto di tutti. "Il 70% delle forze di polizia e l'esercito vota per Alba Dorata" - ha dichiarato, facendo intuire come una vittoria elettorale di Syriza, potrebbe portare ad una situazione tesissima, anche al rischio di un colpo di stato, esperienza che per la Grecia è ancora molto fresca nella memoria.

Infine ha parlato Ken Loach, un omino distinto, dall'aria molto docile e gentile, una persona buona. Per sua deformazione ha voluto narrare gli incontri con molti giovani, nelle parti più remote e trascurate del Regno Unito, soggetti a condizioni lavorative terribili, contratti a 0 ore, chiamati alle 5 del mattino per giornate lavorative di 12 ore senza essere pagati - solo per conservare il diritto di poterne avere altre eventualmente ed allora ottenere una modestissima paga. Le sue parole vibravano nel silenzio della sala, provocando commozione, anche nella sua voce, quando diceva con rammarico "Labour is gone, Labour is yesterday". Quando denunciava il tour guidato da Boris Johnson, sindaco conservatore di Londra, ad imprenditori venuti a fare un sopralluogo per la costruzione di appartamenti di super-lusso. Quando con voce spezzata ha detto "we can't mess it up this time!", non possiamo sbagliare, basta con la sinistra settaria e divisa. 
Questa è l'idea dietro a Left Unity, come poi ha spiegato Kate Hudson (solo omonima dell'attrice, cosa pensavate...), segretaria di questo nuovo partito, fortemente alternativo al Partito Unico e alle forze che hanno saputo capitalizzare il malcontento con campagne anti-immigrazione, come UKIP ovviamente, inseguite sullo stesso terreno ormai anche dai laburisti. 
In Inghilterra l'economia ha più facilita` a mitigare i problemi rispetto ad altri paesi, dotati dell'euro, dove sono esplosi, quindi Left Unity, ha detto Kate, non può attendere the Podemos moment, ma deve costruire con pazienza l'alternativa.

Cosi siamo arrivati alle domande, ed eravamo veramente in tanti a volerne fare. Io avrei voluto chiedere qualcosa sull'euro, ma non ho ottenuto la parola. Molti erano attivisti interessati a collaborare. Ho scoperto l'esistenza di un Podemos Londra, fondato da spagnoli, ma intenzionato a portare avanti le loro battaglie anche all'interno della società inglese, dove sono in tanti a lavorare, ad aver trovato le opportunità che ormai nei paesi del Sud sono del tutto scomparse.
Una militante di vecchia data ha raccontato di come avesse visitato alcune sedi di Rifondazione Comunista, ai tempi in cui era al governo, e di come fosse rimasta colpita dal fatto che il potere avesse allontanato la presenza del partito dal territorio - quindi partito/movimento, un dualismo da non rompere mai. Deve esserci "tensione  e non transizione tra il sociale ed il politico" (Eduardo Maura). Una donna voleva farsi sentire a tutti i costi, per parlare di femminismo, venendo redarguita - ne è nata una piccola lite con un altro dei presenti - per non dimenticare che a sinistra la dialettica è difficile da tenere a bada...



Un florilegio di "prego, parli sister!", "la parola al comrade", perché le denominazioni resistono all'usura del tempo. Sulle parole c'era qualche disaccordo, tra i nuovisti come Podemos e chi invece ritiene che la parola Sinistra sia imprescindibile, che voglia dire giustizia ed uguaglianza (è stato bello il racconto di Marina Prentoulis sulla madre nata su un'isola dove i dittatori esiliavano i "comunisti" e di come abbia imparato li` il significato di queste parole).



"Da ciascuno secondo le sue abilita`, a ciascuno secondo le sue necessita`", frase marxiana per eccellenza, citata da Kate Hudson per definire la sinistra. 
Mi piace ricordare che la Costituzione Italiana, questo vecchio orpello del passato, all'articolo 4, recita una frase che trovo bellissima:

"Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società"

Basta poco no? Basta ripartire da qui.

mercoledì 8 ottobre 2014

Il mio nemico

I capitali hanno da sempre individuato un nemico in chi esercitava un controllo, chi imponeva norme e leggi, chi richiedeva tasse - lo Stato.
Il modello liberal-democratico ha rappresentato il passaggio da una forma di governo di tipo assolutista o al massimo plebiscitario, nella quale il popolo continuava ad essere suddito di chi lo governava, soggetto ad ogni arbitrio del potere, ad una nuova architettura, che definiva con maggiore chiarezza dei confini non oltrepassabili dallo Stato, per non violare le inalienabili libertà individuali. Queste libertà andavano estese anche alle  "persone giuridiche", con l'intenzione di rompere i monopoli millenari, i protezionismi e il mercantilismo (la Germania ancora non ha imparato bene il concetto, leggetevi questo post a proposito) delle monarchie e di creare il "libero mercato". Così si passo` dallo schiavismo legale a quello "del lavoratore salariato": lo Stato si intrometteva poco, i capitalisti sfruttavano i propri lavoratori fino all'ultima goccia di vitalità e le condizioni erano disumane. Ma ben presto cominciarono le lotte, le rivendicazioni, la coscienza di classe, e piano piano anche le conquiste. E così dalla seconda meta` dell'ottocento in avanti vi fu un faticoso, ma continuo progresso, con interruzioni e regressioni e grandi guerre. La massima accelerazione di questo avanzamento vi fu nel secondo dopoguerra, con una notevole riduzione delle disuguaglianze, accettate dal capitale perché si trattava di un periodo di grandi ricostruzioni e profitti e inoltre i lavoratori andavano tenuti buoni, per paura di nuove rivoluzioni d'ottobre.

Ma col finire degli anni 70 il boom post-bellico andava esaurendosi (e le crisi petrolifere avevano dato un contributo), il margine di profitto si riduceva di conseguenza - era necessario trovare nuove vie e riprendere l'attacco al grande nemico - lo Stato.
Ronald Reagan e ancor di più Margaret Thatcher hanno assestato colpi decisivi, anche fortemente simbolici, allo Stato:

«Stanno scaricando i loro problemi sulla società. E come sapete, la società non esiste. Esistono gli individui, gli uomini e le donne, ed esistono le famiglie. E il governo non può fare niente se non attraverso le persone, e le persone devono guardare per prime a sé stesse. È nostro dovere badare prima a noi stessi e poi badare anche ai nostri vicini. Le persone pensano troppo ai diritti senza ricordarsi dei doveri, perché non esiste un diritto se prima qualcuno non ha rispettato un dovere» (Margaret Thatcher, 31.10.1987)

Abbasso i diritti allora! Così è cominciata una seconda liberazione, il capitale poteva tornare alla caccia spregiudicata dei profitti. Erano necessari strumenti per facilitare questa inversione di marcia, in primis la diffamazione dello Stato. Stato corrotto, Stato spendaccione, Stato ladro, Stato illiberale. Vizi in parte reali e da risolvere, ma non certo demolendo il pubblico in favore del privato.
E ora i sacrifici richiesti ai paesi europei più in crisi vengono motivati con l'eccesso di debito pubblico, quando ormai nessuno in buona fede dovrebbe affermare che la crisi in cui ci troviamo dipenda dai debiti degli stati. Invece ancora molti ci fanno credere che sia così, per continuare a chiedere di consolidare i bilanci, fare austerità, tagliare spesa, tagliare servizi, tagliare diritti, tagliare salari, e lasciare libertà - libertà di scorribanda allo sfruttamento ed al profitto.

Eppure addirittura il vice-presidente della BCE, Vitor Constancio, scavalca a sinistra alcuni presunti compagni italiani, forse non rendendosi conto dell'importanza di queste parole, affermando come la crisi sia imputabile ad un eccesso di debiti privati, mentre solo dopo la sua esplosione, per salvare il sistema privato, i debiti sono diventati pubblici.
Secondo la migliore tradizione neo-liberista, si socializzano le perdite.

Quindi indigniamoci pure contro i politici corrotti e inetti, contro le inefficienze, contro gli sprechi, contro gli abusi, ma non forniamo questi argomenti a chi ne approfitta per demolire lo Stato, in nome di interessi che vengono da lontano e mirano a distruggere definitivamente i residui di giustizia sociale e democrazia che tentano ancora di sopravvivere. 
E non confondiamo la modernità con la restaurazione, la rottamazione con il disfacimento. Si è "cambiato verso" in peggio più di trent'anni fa. Sarebbe il caso, invece di proseguire, di ricambiareverso.

Non lo Stato, ma chi lo svuota di significato è il mio nemico.

sabato 4 ottobre 2014

Irreversibile

Il post precedente era un discreto mappazzone.
Vediamo se ritrovo il dono della sintesi.

Draghi pochi giorni fa a Napoli ha detto che l'euro è irreversibile, non per la prima volta. È uno strano argomento, visto che di politica si tratta, mentre di irreversibile forse c'è solo il tempo. Ha anche detto di comprendere l'euroscetticismo nei vari paesi, anche tra quelli che temono di dover pagare per gli altri. A questo proposito Il Fatto Quotidiano ha pubblicato un interessante vox populi di turisti tedeschi in Italia, che dimostra come purtroppo circoli in Germania questo tipo di propaganda - ovvero che i sacrifici che gli toccano sono dovuti ai paesi mal-governati come l'Italia (con tutti gli stereotipi antropologici a corredo). Un'unica voce si esprime con l'argomento reale: la Germania è il paese che ha beneficiato più di tutti dell'euro, anche grazie alla cattiva gestione economica di paesi come l'Italia. Purtroppo però i capitali sono rimasti concentrati in pochissime mani, mentre al popolo tedesco è stata imposta una riduzione pesante dei salari, che ha permesso l'enorme competitività del paese - altro che investimenti e produttività alle stelle grazie all'etica del lavoro protestante... (qui un articolo di mesi fa di Repubblica, non certo un organo dell'euroscetticismo, riafferma chiaramente il meccanismo perverso di queste politiche).

Questo percorso è molto pericoloso. Da un lato una retorica anti-tedesca, anche motivata, ma difficile da rivolgere alla Germania come fosse un monolito, dall'altro una retorica anti-paesi-pigri-del-Sud, che rischia di montare visto che le cose cominciano ad andare malino anche lì. E quando i tedeschi si mettono in testa che la colpa è di qualcuno, normalmente non finisce benissimo...
Figuriamoci se questo è il momento di inventarsi una cosa come gli Eurobond, dove la Germania di fatto pagherebbe i debiti nostri.

Per questo è altrettanto pericoloso lasciare che l'argomento no-euro venga usato solo da forze nazionalistiche e xenofobe.
Ostinarsi a dire che l'euro è irreversibile rischia di portarci in modo irreversibile in una situazione pre-bellica.

Mi fermo e proseguo il discorso sulla retorica dello "Stato cattivo" la prossima volta.

venerdì 26 settembre 2014

Un europeista convinto

C’è grossa crisi. La risposta è dentro di noi - e pero` è sbagliata (questa era la parola di Quelo).

Il dibattito sulla crisi propone argomentazioni che, in questa era post-ideologica, rappresentano in realtà una nuova forma di ideologia, a tratti fideistica e cieca, al servizio di nuovi idoli (la potremmo chiamare idologia forse?). In alcuni casi l’inganno è talmente sofisticato, che anche gli stessi seguaci a volte non si rendono conto di prestarsi ad interessi addirittura opposti a quello in cui credono. Ma cerco di essere meno oscuro...

Il “bene” e il “male”

Ci siamo abituati ad attribuire un valore morale al comportamento dei vari paesi, spesso con generalizzazioni pericolose.
L’Italia è un paese “cattivo” - pieno di vizi, i suoi politici se so’ magnati tutto, lo stato è inefficiente e noi cittadini siamo pigri e indolenti (cioè, almeno lo sono “gli altri”). Per questo motivo non ci sono alternative a manovre “lacrime e sangue” e soprattutto, vista inaffidabilità della classe politica, molto meglio ascoltare i consigli dell’Europa. Ormai questa predica comincia a mostrare le crepe perché le ricette europee hanno portato a risultati disastrosi ovunque siano state applicate. Ma la narrazione di fondo resta: “non ci facciamo dare ordini!“ (in teoria), MA è vero che “dobbiamo fare i compiti a casa” e QUINDI ci meritiamo una politica punitiva.
Certo nessuno può negare che la corruzione dilaghi, la connivenza con la criminalità pure. L’evasione fiscale è alle stelle e siamo tutti in parte complici, sia per i nostri comportamenti sia per aver votato i leader che ci hanno portato fin qui. L’analisi psico-sociologica dell’italiano medio è nota e mi sono prestato al gioco molte volte pure io – e quante occasioni durante tanti anni di Berlusconi! Questa macchietta di un’Italia-spaghetti-mandolino-mafia-politici-ladri viene tradotta automaticamente ed in modo semplicistico in politica economica, con la pretesa di guarirci da tutti i vizi, per cambiareverso, ma nel concreto senza toccare evasori, corrotti e mafie. Il distacco tra retorica e pratica politica sono evidenti, ma i discorsi pubblici continuano a martellare: se faremo le riforme e i conti torneranno, allora la Germania, che invece è brava, efficiente e virtuosa ci perdonerà e magari finalmente porterà i suoi capitali da noi, con il nuovo mirabolante mercato del lavoro flessibile et burocrazia et Stato snelli, che finalmente faranno rifiorire l’Europa.

Di fronte all'europeista moralizzatore c’è il suo alter ego, l’isolazionista anti-teutonico: la Germania è malvagia e ha trovato un modo molto più raffinato e subdolo per conquistare il mondo e far soffrire le razze inferiori. Dobbiamo sganciarci, rimettere le barriere, soprattutto non far entrare quei delinquenti clandestini, che sono il vero motivo per cui non c’è lavoro! (una logica interessante, forse la razza migliore è quella intermedia, tra i ladri stupratori neri del sud e i nazisti biondi del nord...) – anche se non metto virgolette o corsivi, è chiara l’ironia vero?!

È giusto ed importante giudicare quello che sta succedendo in Europa, ma spesso lo si fa mossi da pregiudizi e idologie, mentre è necessario identificare la vera fonte dei problemi e distinguere le proposte che ci sono in campo dai loro obiettivi reali, la loro applicazione concreta e la loro praticabilità, prima di stupirsi quando o non vengono mai attuate o non funzionano affatto.

L’attore protagonista, non potrebbe essere altrimenti, è il capitalismo, in varie sue sfumature, che presentano però differenze significative (vanno dal nero pece, al bianco accecante, al rosso sbiadito). La sua vittoria è assicurata, contrariamente a quanto ci potremmo essere illusi con lo scoppiare della crisi.
Non siamo ancora pronti (se mai lo saremo, cambiare mentalità non è facile) ne’ per la rivoluzione, ne’ per il ribaltamento di tutti i paradigmi di sviluppo, ne’ per la decrescita felice (che viene fraintesa con quello che sta accadendo adesso, niente di più sbagliato, la decrescita all'interno di un modello fatto per la crescita non ha effetti che rallegrino molto – ma questo è un altro discorso). Il PIL è un indicatore criticabile assieme a tutto il capitalismo, ma fa parte del pacchetto. Quindi, mentre cerchiamo di realizzare nelle varie comunità, vie, quartieri, cittadine, importantissimi esperimenti economico-sociali alternativi, ci converrebbe non estraniarci del tutto, ma tentare di far valere i residui spazi di democrazia che ancora ci sono, prima che spariscano definitivamente. Per lo meno cercare di far funzionare questo capitalismo in un modo non così degenere e perverso, prima di venirne definitivamente sopraffatti.

Un messaggio che sentiamo dire molto spesso è: “avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità!”, indirizzato ad un intero sistema-paese, normalmente per riferirsi ai debiti pubblici.
Ma alla base del capitalismo c’è il debito, che quindi di per se’ non è “brutto” o “cattivo”, visto che è uno dei meccanismi che ne permette il funzionamento. Al massimo è un debito sostenibile o insostenibile. Il debito pubblico, in particolare in questi ultimi anni, è diventato il simbolo dello stato “ladro e sprecone”. La critica allo spreco (o al consumismo in generale) è una lotta nobile, ma quando proviene da istituzioni finanziarie e si rivolge agli stati, per diminuirne la presenza “burocratica” nella vita dei cittadini (ma soprattutto dei mercati), suona per lo meno sospetta. E come vi spiegherò a breve, la crisi che stiamo attraversando ha pochissimo a che vedere con i debiti pubblici.

Un mio carissimo amico è molto sensibile al messaggio di rigore ed austerità. E in questo senso è un esempio vivente di moderazione e sobrietà, pur essendo una delle persone più calorose che conosca. Abbiamo discusso di questi argomenti e lui è convintamente a favore del rigore e del pareggio di bilancio. Vivendo fuori dalla città ha assistito per anni agli effetti nefasti della speculazione edilizia e della cementificazione delle sue valli, alla ricerca di profitti facili, realizzati in combutta con le amministrazioni locali, utilizzando sempre i soldi degli “altri”. La sua critica poi si estendeva anche ai modi di vivere dei singoli individui, poco attenti al consumo delle risorse.
Gli voglio molto bene e la sua battaglia ai miei occhi è nobile e ammirevole (anzi, non mi sento nemmeno all'altezza, perché sono sicuramente molto più compromesso), ma purtroppo temo che ci sia un grande equivoco tra il suo pensiero e quello che le politiche di austerità vogliono in realtà ottenere.
Perché purtroppo, l’eventuale successo di un piano che renda frugali gli italiani (o i greci o gli spagnoli) sarebbe un puro effetto collaterale all'interno di un disegno lontanissimo dall'idea di giustizia sociale e di moderazione nel consumo delle risorse terrestri, ma anzi parte di un progetto capitalistico della peggior specie, ovvero la massimizzazione dei profitti per pochi fortunati beneficiari, ai danni di una massa impoverita.
Il liberismo contiene un’interessante nozione di libertà, sempre intesa per il capitale e non per le persone, mentre restano gli illusori spazi democratici, che servono a poco se poi lo Stato non presidia la dignità dei cittadini, ma invece tutela lo stesso capitale.
È in questo contesto che va rivista la discussione, oltre che sulla crisi in generale, sulla moneta unica. Tento di affrontarla qui di seguito, con le mie modeste basi economiche, ma dopo una attenta lettura di ragionamenti fatti da economisti di riconosciuto valore (la fonte principale è il blog di Alberto Bagnai, che a sua volta, per sua stessa ammissione, nella maggior parte dei casi fa il divulgatore di opinioni, idee e teorie note, riprendendo molte fonti prestigiose a livello accademico come Krugman, Stiglitz, tanto per citare due nomi in voga e in vita). 

Le utopie 

Sono belle le utopie, credo siano un potente carburante che dovrebbe spingere la politica ad avere una visione, un amor cortese verso l’irraggiungibile meta, l’attesa per un messia che non arriva mai, ma che ci obbliga a migliorare il mondo. Non mi oppongo, quindi, all'idea di Stati Uniti d’Europa (la meno utopica), un’Europa dei popoli, o addirittura il sogno di un’Europa unica nazione. Ma credo nell’utilità dell’utopia come eccipiente, non come principio attivo, come cura omeopatica ad alta diluzione, non come cura sintomatica ad azione rapida. I piani devono restare distinti (anche se sono convinto debbano coesistere) e soprattutto il messaggio ideale va maneggiato con cura.
Cerco di spiegarmi meglio.
È il rischio che si corre quando si lanciano slogan come “più Europa!”, accompagnati dai propositi di padri nobili - molto bene, ma se non si cerca di trovare una più chiara agenda, o “road map” (oltre ovviamente ad un consenso sufficiente a perseguirla), resteranno solo quelle belle parole ad accompagnarci nel precipizio. Alcuni le sostengono ingenuamente, altri cinicamente, perché funzionali ad un disegno che di solidale ha molto poco. Il paradosso sta nel fatto che si spacciano per concrete delle soluzioni impraticabili o fallimentari da anni, viceversa si bollano come inutilmente radicali, irrealizzabili se non addirittura catastrofiche, delle proposte con molte più fondamenta nella realtà.
Riguardo all’Europa poi c’è chi sostiene che l’idea di un’unica grande nazione sia completamente antistorica, e che il mondo vada verso la frammentazione e non l’unificazione, senza che questo necessariamente voglia dire nazionalismo e guerra. Ma possiamo anche ipotizzare di voler ribaltare, almeno in parte, questa tendenza. Ma chi è realmente a volerlo?

La “realtà” 

Qual è la realtà, in Europa? Da ormai diversi anni, ben prima della crisi, le disuguaglianze nei paesi occidentali sono in aumento, in quelli “virtuosi” come in quelli “viziosi”. Dopo i massacri delle guerre mondiali e un successivo periodo nel quale la parola riforma aveva un senso, dalla fine degli anni ‘70 siamo entrati nella spirale iper-liberista o turbo-capitalistica che ci ha portato fin qui (senza approfondire, segnalo due fatti italiani molto significativi proprio di quegli anni, che forse acquisiranno un significato nel prosieguo del discorso: 1) L’adesione dell’Italia allo SME, Sistema Monetario Europeo, la prova generale di euro; 2) Il divorzio tra Banca d’Italia e ministero del Tesoro, cioè il ministero non aveva più il diretto controllo dell’emissione di moneta da parte della Banca Centrale).
Con linguaggio marxiano si potrebbe dire che è in corso una lotta di classe, agita però dall’alto verso il basso - il capitale si concentra sempre di più, si sposta verso la finanza, abbandona l’economia reale, i salari, lo stato sociale. L’impatto sulla società lo percepiamo e ne discutiamo da tempo: masse sempre più impoverite, piccole enclave di ricchezza che migliorano la loro condizione, disgregazione sociale, aumento dell’intolleranza e paura del diverso, quindi di nazionalismi, xenofobia e razzismo. Tutto questo a capovolgere invece una tendenza che, escludendo le due grandi guerre, ha portato ad un costante miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle persone, con diritti sempre crescenti, soprattutto nel secondo dopoguerra, fino, come detto, agli anni ’70.
La crisi, in questo progetto economico, si sta rivelando un’opportunità per proseguire nella demolizione del tessuto sociale e dei diritti, con l’ottima scusa che non ci sono alternative e sono necessari sacrifici, mentre purtroppo ci eravamo illusi del contrario.
L’integrazione europea avrebbe potuto (e dovuto) essere un argine a queste politiche, se non fosse avvenuto invece l’opposto: a dominare i processi di unificazione sono state le questioni economico-finanziarie, che hanno via via indicato la strada alle riforme politiche necessarie ai capitali per circolare più liberamente e trovare profitti maggiori.

La Germania 

Per tanti motivi la storia tedesca ha un ruolo centrale nella costruzione europea e della moneta unica. Un paese votato all’espiazione dopo gli orrendi crimini del nazismo, una volta rimessosi in piedi è diventato protagonista dell’integrazione comunitaria, è da supporre con molte buone intenzioni e con l’intento di scongiurare tragedie come le due guerre mondiali. Non intendo fare qui una ricostruzione accurata della nascita dell’Europa, dei trattati, delle date e degli accordi. Mi limito a porre l’attenzione su alcuni fatti rilevanti rispetto all’argomento di cui discuto. La Germania ha senz'altro messo in moto il suo potente motore, la sua capacita` organizzativa, la sua etica del lavoro, e ha saputo costruire un impero industriale efficiente e produttivo. Nel corso degli anni dopo la grande ricostruzione è riemersa una tendenza storicamente caratteristica della Germania, ovvero quella che in economia si chiama mercantilismo monetario.
Un paese è mercantilista quando vuole arricchirsi puntando sulle esportazioni e reprimendo il proprio mercato interno. Questo conviene perché in questo modo si possono pagare poco i propri lavoratori: non è necessario che possano acquistare ciò che producono – per dirla in termini fordisti – e così facendo i profitti aumentano notevolmente. Per farlo è necessario avere merci appetibili da vendere (all'estero), e questa è la famosa e indubbia virtù tedesca. Ma di per se’ questa formula non è sostenibile a lungo, a meno che non si verifichino particolari condizioni favorevoli.

La “scienza” 

L’economia, nonostante si occupi di tutte le attività umane, soggette quindi a casualità ed arbitrarietà, ha basi scientifiche solide. Anzi, di più, molto spesso l’uomo agisce in funzione di ciò che ritiene un dato di fatto fornitogli dalla scienza economica, col meccanismo della profezia che si auto-avvera. Purtroppo a volte alcune teorie hanno maggiore o minore fortuna in base al buon marketing (o ad interessi che le rendono convenienti per alcuni – e questi alcuni sono guarda caso élite economiche potenti, non certo gli ultimi ed umili).


Esistono però leggi fondamentali. Una di queste è la legge della domanda e dell’offerta, che ha molte postille e corollari, ma che fondamentalmente afferma che quanto più un bene è richiesto (aumento della domanda), tanto più il suo prezzo aumenterà. La spiegazione è intuitiva: se la merce che vendo è molto richiesta, mi posso permettere di aumentarne un po’ il prezzo continuando ad aumentare i miei ricavi, fino ad un punto di equilibrio.

Tornando al mercantilismo tedesco, qual è il problema che si presenta a chi vuole vendere tanti beni belli, di qualità, richiesti da tutti? Principalmente riuscire a tenere il prezzo basso.
In un mondo con valute nazionali diverse, il prezzo di un bene estero si compone del prezzo nella sua valuta nazionale e del prezzo della valuta (cioè il tasso di cambio). In particolare a partire dalla fine degli anni 70, dopo le crisi energetiche e con la diffusione del liberismo, la Germania ha sempre tentato di tenere sotto controllo i prezzi (con politiche di contenimento dei salari), ma inevitabilmente la grande domanda di beni e quindi anche di valuta tedesca - per la legge di cui sopra - faceva aumentare il prezzo del marco, che infatti è stato in continua “rivalutazione”, ogni qualvolta ai cambi veniva concesso di fluttuare.
Se avete capito il discorso che ho appena fatto, dovrebbe essere chiaro perché in Europa, la moneta unica presentava vantaggi notevoli per la Germania. Eliminato il “problema” del marco troppo forte, era sufficiente tenere i prezzi bassi per arricchire il paese secondo il paradigma mercantilista - e così è stato - e con l’euro gli ottimi prodotti tedeschi hanno potuto invadere il mercato europeo, producendo l’enorme surplus dell’economia tedesca.
Cosa c’è di male? Quali danni produce questo atteggiamento commerciale competitivo?
Se la Germania vuole vendere, qualcuno deve comprare e l’Europa ha comprato eccome. L’euro ha improvvisamente dato una valuta forte come quella tedesca a tutti i paesi periferici. Volkswagen, Mercedes, perfino Porsche, sono diventate “abbordabili” per molti (vi ricordate la mania delle Porsche Cayenne?). Quanta carne tedesca, latte tedesco, prodotti tedeschi trovate al supermercato?  E chi non se li poteva proprio permettere poteva accedere facilmente ai finanziamenti necessari. E chi è stato tra i maggiori prestatori di capitali di quegli anni? Guarda un po’, proprio la Germania con i suoi istituti. Quindi le banche tedesche prestavano soldi all’Italia, affinché comprasse i prodotti tedeschi, guadagnandoci due volte: con i profitti sulle vendite e con gli interessi sui prestiti (e attenzione, anche se siete convinti di aver usufruito di credito da parte di una finanziaria italiana, nella maggior parte dei casi la fonte del prestito era una banca del nord europa). Ma le banche tedesche non hanno prestato solo a chi comprava auto, hanno anche supportato operazioni immobiliari, in Europa e purtroppo anche negli Stati Uniti, finanziando i tristemente noti mutui subprime.
Questo è il grande mito della locomotiva tedesca.

La spirale di rischio e spregiudicatezza ha portato il sistema al collasso a partire dal 2007-2008. Le banche tedesche si sono ritrovate piene di crediti inesigibili e hanno deciso di chiudere i rubinetti, anzi, hanno cominciato a reclamare i loro crediti. Italia, Grecia, ma prima ancora Irlanda e Spagna si sono ritrovati con enormi debiti privati esteri da saldare (e non debiti pubblici!)  e le banche di quei paesi sono andate in crisi. Sono allora intervenuti gli stati con operazioni di salvataggio e solo allora i debiti da privati sono diventati pubblici. A quel punto i bilanci pubblici hanno ulteriormente allarmato gli investitori, chi doveva speculare ha speculato, i capitali sono fuggiti e i tassi di rendimento dei titoli sono schizzati verso l’alto (è il normale meccanismo con il quale gli stati tirano la corda per tentare di trattenere i capitali attirandoli con maggiori rendimenti, ed ha creato una nuova star, lo spread).
E poi? E poi è arrivato Monti, che aveva come obiettivo il miglioramento dei conti esteri, insomma, saldare i debiti con i creditori che bussavano all’uscio. E come si potevano mettere a posto i conti? Prima di tutto con una spremuta fiscale per raccogliere il possibile prima che fosse troppo tardi. E poi con la ricetta tedesca: distruggendo il mercato interno (l’ha detto lui stesso! vedi qui sotto), diminuendo quindi anche le importazioni e l’indebitamento con l’estero. E ha funzionato! Ma a quale prezzo?




I governi Schröder (1998-2005, che tra l’altro fu il primo leader tedesco nel dopoguerra a riportare in auge pubblicamente “l’interesse nazionale”, argomento tabù in precedenza) aveva avviato una serie di riforme radicali del mercato del lavoro (il cosiddetto piano Hartz), per introdurvi maggiore flessibilità, con l’introduzione dei minijob e altri contratti anomali. Quando queste riforme sono entrate in vigore (nel 2004) la disoccupazione tedesca era superiore al 10%. Il risultato di tutto ciò è stato una netta diminuzione dei salari reali dei lavoratori tedeschi, messi in competizione tra loro e ricattati con la minaccia di esternalizzare il lavoro.
Ma come? E l’operaio Volkswagen che guadagna così bene?
È vero che esiste un gruppo di lavoratori privilegiati, con stipendi storicamente alti, ma ad essi ormai si sono affiancati tantissimi precari a bassissima paga, fruitori di minijob, in un vero e proprio mercato duale del lavoro (come denunciato nettamente dall’ultimo rapporto sulla giustizia sociale in Europa da parte dell’istituto Bertelsmann). La Germania non è così bella come la si dipinge, e ormai a dirlo sono anche autorevoli testate tedesche.

Eppure ora, a gran voce, quello è il modello a cui ci dovremmo ispirare, con le riforme del lavoro che hanno come primo obiettivo quello di ridurre i salari (anche se vengono "vendute" con altre motivazioni).
Ma la Germania del 2004, pur con la sua alta disoccupazione, era un paese che si poteva permettere quel genere di riforme (che restano comunque inique e che hanno contribuito ad aumentare le disuguaglianze nel paese e gli squilibri europei). L’Italia del 2014 non potrebbe proprio sostenerle, viste le condizioni del mercato del lavoro e dell'economia in generale.
Che questo sia il grande “disegno”, ce lo ricorda anche la lettera di JP Morgan, che condannava il “socialismo” delle costituzioni e la tutela dei lavoratori dei paesi del sud Europa, come ostacolo allo sviluppo della libera impresa.

Ecco, il punto è proprio questo: il mercato unico, euro-munito, doveva essere un grande sbocco per le economie europee, che solidalmente avrebbero potuto aiutarsi l’un l’altra. L’atteggiamento tedesco (ma anche di altri paesi forti del nord) invece è stato senza dubbio competitivo “noi siamo bravi e forti e ve lo mostriamo, ora dovete venirci dietro se ci riuscite” (questo Krugman lo rimarca con chiarezza). La Banca Centrale Europea purtroppo è una diretta emanazione della Bundesbank e delle politiche di austerità, quindi non ha mai agito per impedire il deterioramento a cui abbiamo assistito ed ora suggerisce timidamente ricette inefficaci. Non ha senso attribuire un giudizio morale e additare la “cattiveria” della Germania, a meno che non si voglia fare una critica del capitalismo tout court. La Germania come monolito economico non esiste, è un paese pieno di virtù, di buoni esempi, di cultura. È possibile invece dare un giudizio politico e allora si`, la critica alla costruzione dell’euro ed alla sua implementazione sicuramente è negativa per quanto riguarda le élite tedesche, che hanno imposto una deliberata violazione dei trattati, che prevedrebbero il coordinamento delle politiche – hanno quindi imposto competizione invece di collaborazione. E ora dicono anche che la colpa è del pigro Sud, secondo la fiaba della cicala e della formica.
Ma anche le classi politiche dei paesi periferici hanno la colpa di aver fatto credere che la scelta dell’euro fosse un grande vantaggio e il simbolo di un Europa comunitaria e solidale, unita contro i nazionalismi.
E invece? Abbiamo già spiegato la spirale debitoria che è stata innescata e l’integrazione e la solidarietà, se mai ci sono state, si stanno sgretolando con l’emergere sempre più massiccio proprio dei nazionalismi. Marine Le Pen è potenziale presidente della Francia, i partiti di estrema destra guadagnano consensi ovunque.

Le soluzioni 

Che fare allora?
Lasciamo perdere Salvini, Le Pen e le albe dorate. Lasciamo anche perdere il M5S o Farage.
Se ascoltiamo la voce di  alcuni economisti importanti, esperti di economia internazionale (magari quelli con le lauree vere e forse pure qualche Nobel), le alternative sono limitate e urgentissime, anzi, forse non ci sono alternative, perché ormai abbiamo raggiunto uno stato di squilibrio irrecuperabile.
Nessun pugno sul tavolo, minaccia velata, richiesta ferma, suggerimento caloroso, consiglio da amico, allusione ammiccata sembra possa avere effetto sulle politiche economiche del nord. E quindi, se dicono di no?
Sentirete dire da parte di qualcuno tra i più “progressisti” che dobbiamo spendere soldi pubblici, aumentando il deficit e violando il temutissimo fiscal compact e così faremmo ripartire l’economia, o da parte di più moderati la richiesta che la BCE "stampi moneta". Ebbene, un po' di respiro lo si darebbe, un effetto moderato sulla disoccupazione pure, col risultato però soprattutto di rilanciare le importazioni! La Germania, che ora è in affanno, ci ringrazierebbe, mentre la produzione italiana resterebbe senza sbocco e senza competitività e si rientrerebbe nella spirale del debito estero.

E allora? Non staro` mica dicendo... ma no dai... non è possibile! Macché veramente? Uscire dall’euro? Ma non era una cosa di destra, nazionalista, foriera di guerra?
Al momento sembra molto più foriero di guerra il clima europeo che si respira grazie alle ricette della troika, che stanno annientando diritti (e anche vite) faticosamente conquistati in anni di lotte.

Ma uscire dall’euro cosa risolve?
Rimette in moto un meccanismo difensivo molto elementare, guidato dalla legge della domanda e dell’offerta.
Con l’euro se la Germania reprime i salari, l’Italia è costretta a seguire. Con valute diverse, se la Germania reprime i salari e rende i suoi prodotti competitivi, la sua moneta si apprezzerà e allora dovrà reprimere i salari ancor di più per riguadagnare competitività. Questa spirale perversa resta all’interno dei suoi confini e può decidere se continuare a subirne le conseguenze sul piano sociale, senza obbligare a fare altrettanto negli altri paesi.

Ma uscire dall’euro non faceva fallire tutte le banche? Non provocava il default? Non produceva un’iperinflazione da spesa con la carriola?
È certamente una mossa molto complessa, da eseguire con accortezza, sicuramente non facendo un referendum. I grandi capitali sono già scappati, i piccoli andrebbero limitati al momento del passaggio per evitare la corsa agli sportelli. Default: i titoli verrebbero ridenominati in lire invece che in euro, quindi chiaramente un creditore estero potrebbe vederne perdere il valore con la svalutazione - sono rischi di investimento (e anche un motivo per cui probabilmente non permetterebbero una svalutazione esagerata della nuova lira).
Spesa con la carriola: questo è il messaggio di terrore più diffuso, ma in realtà è completamente destituito di fondamento. I prezzi non hanno in nessun modo un rapporto 1 a 1 con la svalutazione. Le materie prime incidono solo su una parte del prezzo. Vero, potrebbe essere un incentivo alla filiera corta, il che forse non è proprio un male. Vero, aumenterebbe l'inflazione, cosa al momento anche auspicabile.

Allora uscire dall’euro risolve tutto?
Certo che no! Ma una volta fuori si possono affrontare seriamente i problemi del paese, che esistono eccome: la corruzione, l’evasione, le mafie, gli sprechi, le inefficienze.
Ah, ma allora cosa cambia? Con i politici che ci ritroviamo... tanto vale restare!
Eh no, perché senza l’euro i politici si dovranno prendere più responsabilità, sara` molto più difficile dire “ce lo chiede l’europa!”.
Oltretutto studi autorevoli mostrano come la moneta unica abbia disincentivato i governi periferici a fare riforme per migliorare l’efficienza dello stato, visto che per molti anni hanno potuto godere di soldi a basso interesse. E in più il mantra delle privatizzazioni dei servizi ha generato una miriade di società private o semi-pubbliche concessionarie dello stato, ottima fonte di mazzette e tangenti e Batman.
Insomma, l’euro doveva moralizzare e invece forse ha pure dato una spintarella di incoraggiamento alla nostra amata indole italica.

Però ci sono paesi senza euro come il Regno Unito, che magari stanno meglio, però le disuguaglianze...
È da ripetere con forza – uscire dall’euro non risolve tutto. È importante che poi la democrazia funzioni bene, che si possa selezionare una classe politica migliore, che poi dovrà prendere decisioni che potranno essere pienamente di destra o di sinistra, se accettiamo il rischio. La tendenza degli ultimi quasi 40 anni è quella di aumentare le disuguaglianze, aumentare i profitti, spostare il reddito dal lavoro e dallo stato sociale al capitale fine a se’ stesso. Si potrebbe invertire? Se a qualcuno è concesso di fare delle scelte, forse si. Se si tengono in piedi vincoli esterni, come quello dovuto all’euro (oppure come il minaccioso TTIP, ma quello è un altro capitolo), gli spazi di manovra e la democrazia stessa hanno pochissimi margini.
Non dico che possiamo ribaltare il capitalismo, pensare seriamente di cambiare modello di sviluppo, introdurre un’idea di evoluzione, invece che di crescita. Probabilmente non siamo pronti, ma non lo saremo mai se continuiamo in un percorso che va in direzione opposta.

Ma allora l’Europa è finita?
Guardatevi attorno, non ci sono frontiere, è vero, ma a livello politico l’Europa non è stata mai così divisa, dal dopoguerra ad oggi. Come tutte le teorie economiche (e Meade e Kaldor e Stiglitz e Krugman e...) dimostrano, prima si fa l’unione politica, poi si fa la moneta. Il viceversa fallisce e può condurre alla catastrofe. Forse anche i più irriducibili stanno cominciando a capire che il sogno europeo va fatto ripartire su basi più logiche e anche pacifiche di quanto non siano quelle attuali, certo con una revisione dei trattati, ma finalmente coordinandosi (proteggendosi col cambio ad ogni “errore”, rilevando gli squilibri e correggendoli). Se la volontà politica ci fosse già, oggi non saremmo a discutere così tanto di cosa fa la Germania, perché farebbe la cosa giusta.

Non è un desiderio patriottico, non è una rivendicazione in nome della bandiera, non è la voglia di tenere fuori lo straniero, non è il campanilismo, non è la passione per la numismatica... – è solo la banale aspirazione a che venga ogni tanto messa in secondo piano il profitto rispetto alla dignità degli uomini e della democrazia.



mercoledì 30 luglio 2014

Moderazione

Il nazionalista israeliano: "Tutti gli estremisti di sinistra alle camere a gas!"
Il pro-palestinese della porta accanto: "Israele dovrebbe essere rasa al suolo"

Senza citare gli ancora più coloriti complottisti o negazionisti.
C'è poco da ribattere contro certi estremismi, la discussione non si inizia nemmeno oppure si colora subito di cordiali insulti.

Ma discutere col moderato, col realista, con l'equidistante, che alla critica a Israele risponde "e allora Hamas?", che garantisce di essere addoloratissimo per la morte dei bambini, nel mentre è convinto dell'inevitabilità  e legittimità  dell'azione militare, è convinto del fatto che siccome a Gaza la condotta non sia quella del bombardamento a tappeto di Dresda, allora la colpa dei morti civili si assolve, uno sconto di pena per buona condotta.
Queste persone hanno sempre la risposta pronta e documentata, con precisi e puntuali riferimenti strategici, con paralleli storici, con attenuanti dedotte da cavilli di diritto internazionale, un tripudio di tecnica, nell'evitare accuratamente sentimentalismi (tranne quando fanno improvvisamente comodo, come ha fatto un mio amico che mi ha accusato di sciacallaggio sui bambini morti a Gaza, per poi tirar fuori all'ultimo i suoi figli che devono correre a rifugiarsi mentre suona l'allarme).

Però forse, quasi quasi, bzzzt krrrrk splinggg! Le ultime elaborazioni statistiche, basate su un modello parametrico, calcolato dall'ultima evoluzione di Pensiero Profondo, confermano che la demografia di Gaza possa essere ulteriormente armonizzata militarmente, senza causare danni statisticamente significativi.

No, no, no! Scusate ma vado a riprendere il cuore nel freezer, e cerco di restare radicalmente umano.